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Il ddl Cirinnà riguardante le unioni civili appena approvato qualche giorno fa al Senato, è ritornato ora alla Camera, per l’Ok definitivo.
Per sommi capi, la norma prevede che le parti dell’unione civile debbano rispettare una serie di diritti e doveri propri del matrimonio così come e’ disciplinato dalla Costituzione. E’ previsto inoltre che l’unione civile avvenga di fronte ad un ufficiale di stato alla presenza di 2 testimoni, il quale provvede a registrarla nell’archivio dello stato civile. E’ previsto ancora che, oltre ai notai, siano anche gli avvocati a poter stipulare e registrare i contratti di convivenza, nei quali verranno regolati tutti i rapporti patrimoniali delle parti, relativamente alla loro vita in comune.
I commi 50 e 51 del maxiemendamento stabiliscono inoltre che i contratti dovranno essere redatti, a pena di nullità, con scrittura privata o atto pubblico, prevedendo l’inserimento all’interno dell’attestazione di conformità da parte dell’avvocato o del notaio che provvederanno poi alla loro successiva trasmissione al Comune di residenza dei conviventi.
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La legge 3/2012, meglio conosciuta come legge “salva – suicidi” potrebbe interessare tutte quelle persone, quelle famiglie, che non riescono più a far fronte ai propri debiti da tempo contratti, a causa del peggioramento delle proprie condizioni di lavoro ma che vogliono comunque riusciere a far fronte al loro obbligo debitorio, soprattutto per non incorrere nelle conseguenze derivanti dalla perdurante morosità.
Le difficoltà economiche potrebbero essere una conseguenza della perdita del posto di lavoro, oppure della morte del percettore di reddito o conseguenza di una grave malattia ma potrebbero derivare anche da altre situazioni. Tutti coloro che dovessero trovarsi in una situazione di difficoltà non colpevole possono chiedere di poter pagare ed estinguere il loro debito in misura “commisurata” alle proprie attuali possibiltà economiche.
Clamorosa la decisione del Tribunale di Busto Arsizio che, con un decreto del 15 settembre 2014, ha tagliato da 86 mila euro ad 11 mila il debito complessivo maturato da un contribuente nei confronti di Equitalia, con un taglio netto di oltre l’86% del debito iniziale.
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Nel 2009 il signor Rossi, si recava presso un negozio di vendita di mobili al dettaglio ed acquistava due divani . Per tale acquisto, il venditore gli proponeva un pagamento rateizzato in 12 rate, tasso zero. Il sig. Rossi accettava e dopo aver sottoscritto il modulo pre stampato, fornendo documento d’ identità nonché nominativo del datore di lavoro, il sig Rossi usciva soddisfatto dal negozio, con la data di consegna dei divani di li’ a due settimane, certo di aver fatto un vantaggioso affare. Be, e’ matematico: invece di pagare il prezzo subito, avrebbe pagato lo stesso importo ma dilazionato in 12 mesi, senza interessi e senza alcun costo aggiuntivo!
Ma il signor Rossi forse non aveva ben compreso, o se si, aveva sicuramente sottovalutato le conseguenze negative che potevano scaturrire dalla sua azione. Infatti il consumatore in realtà, sottoscrivendo il modello prestampato, aveva avanzato una vera e prorpia richiesta di finanziamento, richiesta sottoposta e immediatamente accettata da una società finanziaria intermediatrice, nel nosto caso, di una grande banca.
Infatti, la rateizzazione del prezzo non è “concessa” dal venditore al quale invece il prezzo viene corrisposto per intero dalla finanziaria ed è , invece, in forza del finanziamento richiesto che il consumatore ottiene di pagare l’importo in rate mensili.
A questo punto, se ognuna delle tre parti (venditore- consumatore- finanziaria) onora gli impegni presi, tutto va per il meglio. Ma se qualcosa dovesse andare storto? Se la merce arrivasse danneggiata? Se la merce consegnata non fosse conforme a quella ordinata? O se non arrivasse mai?
L’ultima opzione è quella che interessa il signor Rossi. Purtroppo, passate le due settimane pattuite per la consegna, i divani non vennero consegnati. In breve, i divani non furono mai consegnati al compratore, la ditta venditirce “sparì” letteralmente prima dai locali ove la venidta avvenne e poi dal mercato definitivamente con dichiarazione di fallimento. E il signor Rossi? Al povero compratore rimasero le rate di un bel finanziamento da onorare tutti i mesi!!!
Immediatamente, alla luce di quanto accaduto, il signor Rossi richiedeva alla finanziaria di annullare il contratto di finanziamento visto l’inadempienza del venditore, ma la società finanziaria rispondeva al mio assistito, quanto segue: “il cliente non può opporre al nostro Istituto le eccezioni relative alla fornitura del bene finanziato. …..che, come stabilito anche dalle condizioni generali di finanziamento, per qualsiasi controversia afferente il bene finanziato deve rivolgersi unicamente al fornitore dei beni, non restando nel frattempo né escluso né sospeso l’obbligo del Cliente di effettuare i rimborsi nei termini e con le modalità contrattualmente previsti.” e che “ il pagamento di tutto l’importo finanziato è già stato versato alla società XXXXXX a far data dal XXXXXXX.”
A fronte di tale posizione, non resto’al signor Rossi che citare in giudizio la Società finanziaria e la Società venditirice (oltre che denuncia – querela ai soci di quest’ultima), con richiesta, tra le altre, di risoluzione del contratto di finanziamento.
Nel luglio 2013, il GdP di Roma, emetteva sentenza con la quale dichiarava la risoluzione del contratto di finanziamento, intervenuta a seguito dell’inadempienza della socità venditirice, con conseguente inesigibilità di qualsiasi pretesa creditoria della Società finanziaria nei confronti del sig. Rossi.
La difesa sostanzialmente si preoccupo’ di evidenziare che il contratto di finanziamento sottoscritto dal Sig. Rossi doveva essere individuato in un prestito finalizzato e come tale disciplinato dalla normativa del credito al consumo, d.lgs. 385/93 Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia.
Tale normativa, è stata oggetto di diverse e sostanziali modifiche quasi tutti indirizzate a rafforzare le tutele offerte ai consumatori nell’ambito del credito al consumo ed inserite nel d.lgs 141/2010 attuativo della direttiva 2008/48/CE che le riporta integralmente.
L’art. 125-quinquies del modificato Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, in merito recita: “Inadempimento del fornitore: 1. Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’articolo 1455 del codice civile. 2. La risoluzione del contratto di credito comporta l’obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate gia’ pagate, nonche’ ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l’obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato gia’ versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso”.
Questa disciplina, intervenuta successivamente all’iniziodelle vicende del mio assistito sig. Rossi, comporta quindi il decadimento automatico del finanziamento collegato all’acquisto di un bene e/o di un servizio. E’ infatti prevista la risoluzione immediata del contratto di finanziamento qualora si risolva il rapporto di fornitura o di vendita per inadempimento del fornitore/venditore (ai sensi dell’art. 1455 e previa messa in mora). Il consumatore ha quindi il DIRITTO di sospendere il pagamento delle rate e di ottenere la restituzione di quanto già pagato. Questa possibilità riconosciuta al consumatore è senza dubbio un invito per gli intermediari a una scelta più accurata e a un controllo più attento della rete di fornitori dei quali essi scelgono di avvalersi per la commercializzazione del credito.
Con quanto espresso e sottinteso nell’art. 125- quinquies si evidenzia come, nel caso in esame, il “rischio” dell’operazione di finanziamento, così come venne “confezionata”, si abbatteva solo ed esclusivamente sul consumatore in quanto le restanti parti dell’operazione risultavano ben al sicuro da remissioni o perdite economiche.
È quindi chiaro come l’acquisto dei divani fosse la causa del contratto di finanziameno sottoscritto e come l’uno presupponesse l’altro trattandosi di un contratto di credito collegato. A dimostrazione ulteriore che il contratto di finanziamento non può intendersi come un contratto autonomo è costituito dal fatto che i fondi erogati dallafinanziaria siano stati elargiti direttamente alla società venditricie e non dati al sig. Rossi per essere da questi “investiti” a suo piacimento e che mai la finanziaria avrebbe concesso il finanziamento se lo stesso non fosse stato finalizzato all’acquisto di un bene (divano) presso quel rivenditore, “Dealer” della società finanziaria.
Il creditore sociale può agire direttamente nei confronti del socio illimitatamente responsabile se dimostra l’incapienza del patrimonio sociale. È quanto affermato dal Tribunale di Reggio Emilia con l’ordinanza del 10.09.2014 in un giudizio di opposizione all’esecuzione in materia di beneficio di escussione ex art. 2304 c.c. nei confronti di una società in nome collettivo. “La preventiva escussione del patrimonio sociale, richiesta dall’art. 2304 c.c. perché il creditore di una società in nome collettivo possa pretendere il pagamento dei singoli soci illimitatamente responsabili, non comporta la necessità per il creditore di sperimentare in ogni caso l’azione esecutiva sul patrimonio della società, tale necessità viene meno quando risulti aliunde dimostrata in modo certo l’insufficienza di quel patrimonio per la realizzazione, almeno parziale, del credito.”
E’ infatti nulla la multa per eccesso di velocità se l’agente accertatore non indica con precisione la dinamica dell’infrazione. Così stabilisce la Suprema Corte ponendo un freno sulla validità dei verbali ad ogni costo. La percezione di chi accerta l’illecito deve essere circostanziata.